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“Ottenere un’esposizione chiara e definitiva del rave è del resto impossibile, esso non è un evento con contenuti e comportamenti definiti e determinati, piuttosto un contenitore temporaneo con una propria specifica forma (e dimensione ottimale), il contenuto è dato dalla somma dei partecipanti, chiaro quindi che il rave di oggi e quello delle prime sue manifestazioni sia diverso, perché diverse sono le generazioni che si succedono nel costruirne il corpo mutante”
(Xsephone, Rave party, tecnologia, tribalismo e nomadismo metropolitano)
Più la diversità si incontra, dialoga e balla, più la prigione della stereotipizzazione identitaria viene evasa e il rave si fa una piattaforma di lancio per i panorami libertari ingnoti.”
(Free Party. Technoanomia per delinquenza giovanile, Francesco @lter8 Macarone Palmieri, Meltemi 2002)
La capacità di un rave sta nella sua natura mutevole e camaleontica, a volte incoerente con il suo passato, ma sempre coerente con il presente. Questa è la chiave che mantiene viva la scena. Il movimento dei free party si è inevitabilmente evoluto, adattandosi a nuove dinamiche. Pratiche come la diffusione di informazioni tramite passaparola o puntelli non sono più praticabili in un’epoca in cui la maggior parte delle persone possiede uno smartphone e partecipa ai social media.
Allo stesso modo, è necessario reinventare i metodi di autoproduzione, autofinanziamento e comunicazione, affinché la scena possa evolvere ulteriormente, evitando di essere incasellata in stereotipi facilmente identificabili e monetizzabili da un sistema sempre in cerca della prossima sottocultura da mercificare.
“Non è un caso che dopo anni e anni di attività contro culturale il panorama si sedimenti routinizzandosi, i dancefloor si svuotino, il sound si ripeta, la violenza subentri con spaccio incondizionato, aggressione cieca, teppismo gratuito, armi, stupri, morte.
Questa è una chiara foto di come un rave si può trasformare da momento di vita nella massimalizzazione della libertà concretizzata a momento atroce, infernale e mortifero che invece di destabilizzare il deserto antiumano del quotidiano lo riperpetua fortificandolo, quando una pratica contro culturale qualsiasi essa sia arriva a reiterare i suoi linguaggi stereotipizzandosi nell’incapacità di deflagrare dall’interno tale processo, essa segna la sua stessa fine, il termometro della ricchezza è la poliedria esistenziale nel ventre del suo dancefloor.”
(Free Party. Technoanomia per delinquenza giovanile, Francesco @lter8 Macarone Palmieri, Meltemi 2002)
“Io penso che l’underground in generale sia una cosa che non ha forma, e che non deve averla perché nel momento in cui ha forma, non è già più underground perché la forma gli è stata data. [..] Nel momento in cui decido di cambiare non so neanche come sarà questo cambiamento [..]a me non piacciono le situazioni stantie in generale: nel senso che dove c’è staticità non c’è creatività. Questo credo sia una legge assoluta.”
(Intervista ad a034)
L’evoluzione e il cambiamento, sono accompagnati da alcune controversie, che possono portare alla dissoluzione definitiva di una cultura underground. Il bisogno di riconoscersi in una realtà e di identificarsi nelle sue abitudini sono parte costituente della costruzione di una collettività; al tempo stesso se esse sono mutevoli, l’identificazione risulta estremamente difficile, se non del tutto impossibile.
“Mi riferisco alla tensione che risulta dal paradosso inerente a ogni realtà che ha la pretesa di essere trasformativa e che riconosce nel cambiamento la condizione della propria esistenza. Ma al tempo stesso soggiace a questa condizione l’esigenza di rintracciare alcuni tratti che la rendono riconoscibile nei diversi momenti dello stesso processo di cambiamento. In altri termini è lo stesso paradosso che soggiace ai caratteri essenziali dell’autoproduzione: se ciò che la rende possibile è la sua capacità di dissolversi, di divenire invisibile, questa stessa condizione minaccia la sua esistenza, perché deve inventarsi ogni volta.”
(Xsephone, Rave party, tecnologia, tribalismo e nomadismo metropolitano)
Il rave nasce e muore nell’arco di qualche ora o giorno al massimo. Questo ne sancisce i suoi punti di forze e di debolezza. Possiamo quindi ben identificarlo nella TAZ, un’esperienza temporanea. Non si è di fronte ad una rivoluzione combattuta e continuativa, ma piuttosto ad “un’esperienza di picco” rispetto allo standard della coscienza e dell’esperienza abituale. Queste esperienze, così come un rave, non possono accadere ogni giorno, altrimenti sarebbero parte dell’ordinario; al tempo stesso tali momenti di intensità possono dare forma e significato ad un’intera vita.
“Il rave è prima di tutto uno spazio e un tempo separati dalla realtà sociale ordinaria. [..] L’atmosfera del rave e lo sconvolgimento dei sensi dovuto alle stimolazioni molto forti e non abituali, portano l’individuo ad accedere a stati modificati di coscienza dove l’immaginario e la realtà si fondono. Con il raggiungimento di uno stato di stordimento, l’individuo perde piede con la realtà.[..] La festa, condivisione di un’esperienza che si svolge nel presente, fondata sulle percezioni sensoriali e sensibili, permette l’appartenenza funzionale al gruppo. È dall’esperienza sensibile che nasce l’emozione, ed è la condivisione di questa emozione che fonda l’aggregazione estetica”
Come nella follia dionisiaca¹, l’individuo al rave può sperimentare una temporanea perdita di controllo, che, se gestita in maniera consapevole, può portare a una rigenerazione spirituale.
“La festa è trasgressione del sistema di proibizioni che permette un incontro con il sacro, il mondo delle energie. La trasgressione non è gratuita: si tratta di far rituffare la società nel caos creatore.”
(Roger Caillois, L’homme et la sacrè, 1988)
¹ Un’esperienza incentrata sulla temporanea perdita di controllo con un fine spirituale e trasformativo che permette all’individuo di trascendere la razionalità ordinaria per accedere ad una conoscenza più profonda.
La trasgressione rituale del rave, quindi non è semplicemente distruttiva, ma può essere vista come un tentativo di riappropriarsi di una dimensione sacra e collettiva che si è persa nelle logiche del moderno. In questo senso, il rave diventa uno spazio di potenziale rinascita, dove l’individuo ha la possibilità di rompere con l’ordine razionale della società e accedere ad una forma di conoscenza e consapevolezza superiore, analogamente a quanto avveniva nelle feste arcaiche e nei misteri iniziatici.
La mente si arricchisce e si rinnova, trovando nella festa non solo un momento di piacere immediato, ma anche una forma di resistenza alle strutture sociali, alla visibilità, al profitto e all’individualismo con un ritorno alla sacralità e alla condivisione.
“Dicevano che il rave è anomia e distruzione delle regole, distruzione dello spazio e del tempo, distruzione di tutto; per me non era distruzione ma creazione di qualcosa di “a parte” e non riuscivo a non vederla con un senso positivo.[..]
Era una cosa che ti faceva rendere conto che TU SEI sempre e comunque, a prescindere da qualunque cosa, e POI sei all’interno della società. DOPO sei all’interno della società, DOPO sei all’interno di quelle regole, la tua testa è libera e gli schemi che crea sono quelli che le servono per razionalizzare qualcosa di cui in realtà non ci capisce niente.[..]
Semplicemente tu ti senti più libero, ma può essere anche un’illusione, a me va bene anche se qualcuno mi dice: è solo un illusione, perché in realtà il potere di autosuggestione del cervello è gigantesco”
(Intervista ad a034)
L’avvento di internet ha influito decisamente sul fenomeno rave, cercando di categorizzarlo e dargli una forma. La tecnologia, che nel campo della musica ha dato modo di creare la colonna sonora dei rave, è anche la portatrice di quei meccanismi di omologazione che oggi più che mai osserviamo.
“Non esistono mode nelle sottoculture: i tratti di queste ultime diventano moda quando appunto si investe su di loro, quando c’è l’intervento attivo da parte dell’industria che trasforma in simulacro i tratti distintivi dello stili sotto-culturale.” (Xsephone, Rave party, tecnologia, tribalismo e nomadismo metropolitano)
“L’iperconnettività a livello planetario promossa da internet, dai social network,[..] e dalla normalizzazione sistematica del capitale che, nella sua ingordigia strutturale, dopo essersi nutrito degli ultimi brandelli del rave “l’ultima controcultura” è riuscito a sterilizzare quasi istantaneamente ogni nuovo slancio contro culturale, impacchettandolo e brandizzandolo.”
(UFPT, Trap, storie distopiche di un futuro assente. AgenziaX 2020)
“Questo rientra d’altronde in una ritualizzazione e neutralizzazione dei fenomeni “trasgressivi” che di volta in volta si affacciano alla ribalta.
La trasgressione è istituzionalizzata in quanto confinata in spazi ben precisi e riconoscibili deputati alla sua espressione come appunto quelli delle discoteche. Il pericolo è che in ogni momento tutto possa annullarsi e trasformarsi nel suo contrario, quindi il rischio che colpisce i rave è la loro mercificazione. Per evitarlo è necessario che lo sguardo attivo di chi guarda, riesca ad attivare la potenzialità emancipatrice dell’opera, senza la quale l’opera si andrebbe solo ad aggiungere all’accumulo delle cose. Libera e provvisoria la tecnica conserva sempre la sua ambiguità primordiale, al tempo stesso alienante e liberatrice.”
(Xsephone, Rave party, tecnologia, tribalismo e nomadismo metropolitano)
“Cosa possiamo fare quando ci sfruttano e rubano le nostre estetiche? Ce ne andiamo da un’altra parte, e proviamo a tenerlo segreto per un altro po’. Quando il segreto trapela, perché è così che funzionano i segreti, allora passeremo a qualcos’altro.
Per fortuna l’energia dell’estetica popolare è illimitata.”
(McKenzie Wark)
Se valutiamo il rave come “l’ultima controcultura”, ciò dimostra che la sua nascita nel sottosuolo nascosto allo sguardo delle masse e il suo sviluppo privo di etichette e paradigmi erano la chiave per creare qualcosa di divergente e alternativo. Ad oggi l’iperconnettività non permette più che questo accada, perché ogni nuovo concetto, nel momento in cui nasce, deve essere immediatamente identificato e classificato per poterlo incasellare e reindirizzare ai possibili fruitori.
“Il movimento rave che si preparava a conquistare il mondo in maniera sottile, rimanendo nell’underground, rifiutando la spettacolarizzazione riflette quindi le stesse caratteristiche dello strumento di cui si avvale, ovvero la musica techno e tutte le sue sottoripartizioni. Considerando la musica techno anche solo come una musica di sintesi che si avvale di tracce e suoni già prodotti e li mette insieme distorcendoli, modificandolo, dandogli un nuovo corpo, permette di comprenderne la contraddizione.
Allo stesso modo il rave non ha la pretesa di aver creato qualcosa ², bensì di aver ridato corpo a tutto ciò che era il passato, rimescolando in un patchwork sia il culto della natura hippy che il nichilismo e l’eccesso tipico del punk, manifestando il proprio dissenso sul presente, rifiutando il mito della produttività lavorativa esasperata e dal meccanismo guadagno – consumo.”
(Denti E., Rave, massa e identità. 2001)
² La pretesa dell’origine di un genere o di una forma d’arte è inutile, perché non siamo in grado di vedere il quadro completo. Non c’è nulla che stiamo facendo che non sia stato fatto prima. È solo il nostro turno.
(Jeff Mills, the eyewitness. www.sentireascoltare.com)
Non c’è novità assoluta nel rave, esiste invece una rielaborazione di ciò che già esisteva, un insieme di idee diverse che unite hanno dato origine a questo fenomeno. Allo stesso modo una nuova evoluzione è possibile seguendo lo stesso processo; facendo attenzione che esso sia davvero portatore di innovazione poiché “Il recupero del passato ha un valore solo quando lo si interiorizza per superarlo, non per arenarvisi.” Tra la nostalgia e il futuro. Qui si posizione il rave, esattamente nel mezzo.
“Il rave può essere letto come una conseguenza della de-industrializzazione, della crisi dell’industrializzazione, e caratteristica tipica della post modernità che non è più industrializzata e non è ancora deindustrializzata, non è ancora “altro”, non è ancora il futuro”
(Xsephone, Rave party, tecnologia, tribalismo e nomadismo metropolitano)
Secondo questo concetto potremmo dire di vivere in un pre-futuro; un epoca transitoria dove il rave si è sviluppato e ambientato.
Nonostante si dica che sia un movimento che ha espresso il suo massimo potenziale e che il suo decadimento è imminente, se non addirittura già avvenuta da tempo; possiamo invece dire che la sua sopravvivenza potrebbe perdurare almeno fino a quando la tecnologia non avanzerà abbastanza per poterci definire effettivamente nel futuro rispetto agli anni in cui questo fenomeno è nato.
“Non c’erano etichette che potevano identificare il nascente movimento rave. Nei centri sociali era tutto un po’ più determinato. Le culture di questo periodo (‘90), non erano più contro culture, non andavano più contro il potere stabilito, il potere politico o religioso; erano culture altre, andavano oltre il conflitto con il potere.”
(Massimo Canevacci, Roma illegale. Andrea Scarcella 2021)
“Il movimento festivo si pone in rottura con il legame politico e i valori sui quali si fonda nella società moderna. Dietro l’apparente gratuità della trasgressione, della dissolutezza, del vizio e dell’orgia, il rave permette la creazione di un tipo specifico di aggregazione sociale, che si oppone al legame politico. Intendo per legame politico il tipo di aggregazione degli individui attorno a un’autorità.
Nel rave c’è decostruzione e questo conduce a un testa a testa con la natura, che si oppone ad una volontà di dominazione di questa.”
(Xsephone, Rave party, tecnologia, tribalismo e nomadismo metropolitano)
Si tratta di un movimento che non cerca di sovvertire la politica attuale, ma mostra le alternative possibili. Non si propone di fare propaganda.
I movimenti politici si mostrano spesso come portatori di verità; al contrario il rave si dimostra precursore di dubbi verso la società e la politica stessa; sia nei momento della festa che nella quotidianità.
“Serve a insinuare il dubbio che sia possibile una vita non omologata: mettere in piedi un’utopia sembra essere più facile che lottare per diffonderla. […] La classe politica omogenea e demagoga è completamente discreditata; si avverte un sistema politico tentacolare, esclusivo, gerarchico e repressivo che dispone indifferentemente sia di stati che di individui come una tela di ragno al centro del quale sta il potere. […] La semplificazione dei problemi offrendo soluzioni facili e accattivanti, anche se poco credibili e ingannevoli, fanno parte omogeneamente di tutta la politica; dichiarare il rave politico allora vuol dire in parte affiancarlo a questi meccanismi.”
(Xsephone, Rave party, tecnologia, tribalismo e nomadismo metropolitano)
Per quanto il movimento in Italia si sia inizialmente sviluppato nei centri sociali, restando molto politicizzato, è fuori da essi che si è diffuso maggiormente, fondendosi con le altre realtà italiane ed estere che identificavano il rave come un vero e proprio stile di vita nel quale era inclusa la visione della festa anche come mezzo di sostentamento, scontrandosi con l’idea di una rivendicazione politica come unico fine.
“Quella dei rave è una delle forme culturali contemporanee che più lascia alle spalle un’idea dialettica di sovversione abbandonando il contro e lottando sul per. […] In questo senso la ricerca espressiva è anomica, è basata sull’assenza di norma fatta legge, sullo spolverarsi da dosso l’idea di rispettare anche in forma controculturale un gioco politico che ritorna al mittente donandogli forza.”
(Free Party. Technoanomia per delinquenza giovanile, Francesco @lter8 Macarone Palmieri, Meltemi 2002)
Il rave si allontana così dalla lotta politica, mostrando il suo dissenso con un cambio di prospettiva. Si oppone al sistema vigente ma senza seguire le regole del gioco del potere; evita lo scontro muovendosi su un livello parallelo.
“Il mondo nel quale viviamo sta andando in rovina. Noi esseri umani non possiamo cambiare più niente attraverso la politica. Così cerchiamo, per il tempo che ci rimane, di divertirci il più possibile”
(Joe Rush – Mutoid Waste Company)
Questa nuova visione finirà per diventare la predominante.
La nuova concezione di un rave
apolitico ha influenzato i partecipanti e gli organizzatori, modellandone il modo di pensare fino oggi.
“Il disinteresse generale verso le alchimie parlamentare e le riforme epocali dimostra come l’agire politico oggi vive fuori dal progetto, dal partito, dalle istituzioni.”
“Se iniziativa politica vuol dire capacità di cambiare lo stato di cose esistente, di possedere e di comunicare una chiara coscienza della realtà, organizzare situazioni conflittuali in cui mettere in crisi qualsiasi forma tradizionale di potere, allora si può affermare che oggi c’è più politica in una festa rave che in una sede di partito.”
(Xsephone, Rave party, tecnologia, tribalismo e nomadismo metropolitano)
Il paradosso del rave si manifesta quindi nel suo riconoscimento come gesto dal forte potenziale politico, espresso e mantenuto vivo dalla sua distanza da esso.