La techno, musica in evoluzione per sua natura, si accompagna sincronomicamente al pensiero nomade per scelta.
Etichette indipendenti producono suoni radicali e sperimentali celandosi al grande mercato delle major. Party illegali, etichette bianche senza nome, frequenze misteriose, messaggi incisi sul vinile: “ Il segreto è ascoltare quello che non avete mai ascoltato prima”, “ niente di essenziale accade in assenza di rumore”, giochi di identità, comprendere e dimenticare il significato di ogni cosa, cospirare per diventare tutt’ uno con il rumore, perdersi in freddi capannoni dimenticati. Tutto questo pare dirci che è terminato il tempo della propaganda, che la visibilità è un pericolo. Il percorso torna sotterraneo e nascosto, irraggiungibile agli occhi delle autorità e degli esperti di marketing. Il nostro tecnosogno è sporco, freddo, polveroso e digitale. La nostra tecnogenerazione schiude la sua empatia dall’ alba dove il mondo dei regolari appare stridente con le nostre coscienze alterate che si temprano con il reale.
È all’ alba che la potenzialità del rave si rende più chiara: stiamo parlando della possibile insurrezione di migliaia di menti. Nell’ ambito di queste TAZ vengono rielaborati e travolti gli usuali cliché del rapportarsi, (uomo-uomo, donna-uomo, donna-donna) sputando sull’ ordine dei generi, patrimonio del vecchio mondo. Qui la musica è territorio di scambio sperimentale per comunicazioni orizzontali tra le soggettività compresenti. Complicata e durissima la techno crea divario nel rifiuto dell’ armonia e del consentito.
L’ underground italiano paga il prezzo di essere arrivato in ritardo a elaborare la techno, i party illegali al contrario degli altri paesi europei dove, all’ inizio, la techno e i rave erano patrimonio dei traveller e della sinistra in generale. In Italia prima di arrivare all’ underground, la musica elettronica è passata dai circuiti commerciali di destra. Probabilmente questo è accaduto anche a causa del timore che la sinistra tecnofobica ha sempre mostrato verso la modernità e le sue forme. Questa è una delle cause per cui nei centri sociali ci sono state molte resistenze ai techno party, ma forse il problema è strettamente legato all’ incapacità critica nei confronti della musica che esiste in questi luoghi. Il rap, per esempio è sbarcato con i Public Enemy, con Fight the Power (can be!) avevano avviato una nuova e particolare forma di protesta: con uno stile completamente nuovo, i neri emarginati negli States, contro il potere bianco e i suoi abusi.
Questa è stata la giusta chiave con cui il rap (poi hip-hop) è entrato nell’ immaginario musicale/culturale dei frequentatori dei centri sociali, sono nate le posse crew, i ragazzi rappavano testi politici e comunque c’ era la volontà dell’ autoproduzione come elemento che distingueva la storia.
Quasi inconsapevolmente la stessa storia è degenerata con l’ identificazione con una cultura che presentava tematiche sempre meno politiche e sempre più di apprezzamento verso il maschio di strada, le belle auto, i bei vestiti, le pistole e il potere. Si sono ballati testi maschilisti dove i rapper cantavano che le donne sono buone solo a succhiare cazzi e a scopare. Non per sputare sull’ argomento, ma la sessualità così vista e proposta appartiene a un tempo che voglio dimenticare, e fortunatamente le tematiche moderne sul corpo e sulla sessualità si stanno evolvendo su percorsi sperimentali che sradicano l’ allucinante vecchio concetto del sesso e dei ruoli. È segno di vuotezza acritica l’ identificazione con quelli che vogliono rappresentare solo il “loro” proponendo modalità e dinamiche verticali.
La techno è orizzontale!
La techno è di tutti.
(FIKAFUTURA 1, ShaKe Edizioni Underground, 1997)