“Fra tutte le arti, la musica è l’unica che non si vede, come invece la pittura o la scultura. […] La musica si sente, come si sentono i gesti d’amore. Per questo l’erotico è l’oggetto naturale del musicale. Ne scaturisce un’eternità che si nutre di tempo. […] Il punto di fusione è l’immediatezza, per cui come l’erotismo, anche la musica vive l’istante, la successione degli istinti che sorgono l’uno nell’estinzione dell’altro”
(Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Feltrinelli, 2007)
Si tratta di qualcosa di estremamente percettivo, una vibrazione che coinvolge non solo l’udito, ma anche l’emotività e la corporeità. È qui che musica e danza si incontrano. La danza accompagna l’essere umano fin dall’alba della civiltà. Ancora oggi il movimento del corpo è il mezzo usato per comunicare, prima di saper parlare. È come se il ritmo fosse innato, un istinto che rammenta il battito cardiaco della fase embrionale dove la comunicazione non ha bisogno di parole.
“Si raggiunge così quella condizione dove le domande si pongono non in modo teorico, ma corporeo e con il corpo si chiede qual è l’origine per sapere chi siamo noi, che cos’è il mondo, per sapere cosa ci facciamo.”
(Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Feltrinelli, 2007)
Quando non si trova un riscontro, il movimento diventa la risposta dell’esistenza stessa, un modo per affermare la propria presenza nel mondo.
“Nasce così una nuova visione, una rilettura del presente provocatorio, che mescola le carte in tavola […] per indurre a ripensare, a mettere in discussione, a lacerare il pensiero precostruito, denunciare, ferire e poi curare. Perché la musica deve fare questo, suscitare interrogativi e far fiorire risposte, inventare nuovi mondi e nutrire le utopie, nate dalle fondamenta dei suoi luoghi altri.”
(Federica Bolognini, Napoli e le sue radici tribali. Intervista a Gennaro Tesone. T-MAG XIII, 2024)
L’esperienza primordiale si rinnova quando la folla danza al ritmo di una musica che richiama i suoni più primitivi. In essa il corpo perde la sua funzione di strumento per interagire con il mondo e si trasforma in pura gestualità.
“Nella danza il corpo abbandona i gesti abituali che hanno nel mondo il loro campo di applicazione, per prodursi in sequenze gestuali senza intenzionalità e senza destinazione. […] Perdono l’aderenza alle cose del mondo, nella danza ogni gesto diventa polisemico, ed è proprio in questa polisemia che il corpo può riciclare simboli, confonderli o addirittura abolirli. Liberandosi nella pura gestualità non intenzionata, il corpo del danzatore descrive un mondo che è al di là di tutti i codici e di tutte le relative iscrizioni, perché nella danza l’unico segno visibile è quello in cui il corpo iscrive se stesso tra la terra e il cielo. Si vede nella danza un mezzo per sfuggire alla serietà dei codici che ci minacciano. Infatti, scivolando l’uno sull’altro, i movimenti del corpo non si lasciano individuare, e quindi neppur analizzare, perché danzanti. Per la rapidità dei movimenti, la danza cancella di colpo le figure.”
(Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Feltrinelli, 2007)
“In un momento storico come questo in cui esistono il massimo dell’astrazione, in cui tutto diventa liquidi, è necessario recuperare una dimensione tribale che parta dai bisogni essenziali come la comunicazione senza la quale non ci sarebbe la vita, che vada al di là della verbalità, ma che richiami i comportamenti che facciano uscire l’autenticità dell’uomo”
(Federica Bolognini, Napoli e le sue radici tribali. Intervista a Gennaro Tesone. T-MAG XIII, 2024)